Muddy Waters – At Newport 1960: il blues che accende il rock
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Introduzione – Chi è Muddy Waters e perché Newport conta

Muddy Waters è il volto e la voce del Chicago blues elettrico: chitarra amplificata, slide che graffia, voce profonda che porta il Mississippi nei club fumosi del Nord. Senza di lui non avremmo i Rolling Stones, Jimi Hendrix, Led Zeppelin, AC/DC e intere generazioni di rocker cresciuti su quei riff.
Al Newport Jazz Festival del 3 luglio 1960, Muddy e la sua band salgono sul palco in un contesto ancora “da jazz”, ma con un’energia che è già rock: niente formalità, solo groove, sudore e chiamata diretta al pubblico. Il concerto viene registrato e pubblicato il 15 novembre 1960 come At Newport 1960: un disco che diventerà uno dei live più importanti della storia del blues.
🧪 Dietro le quinte – Festival, tensione e set infuocato
Il weekend di Newport non è dei più tranquilli: la sera prima, durante il set di Ray Charles, scoppiano disordini tra giovani, polizia e idranti. Il festival rischia di saltare, ma gli organizzatori tengono duro e la giornata di domenica, dedicata al blues, va in scena lo stesso. In scaletta ci sono John Lee Hooker, Otis Spann, Butch Cage & Willie Thomas… e, ovviamente, Muddy Waters con la sua “orchestra”.
Sul palco, la band è una macchina perfetta: chitarra, piano, sezione ritmica e l’armonica di James Cotton. Il set parte con “I Got My Brand on You”, prosegue con “(I’m Your) Hoochie Coochie Man”, “Baby, Please Don’t Go”, “Soon Forgotten”, “Tiger in Your Tank”, “I Feel So Good” e arriva al momento che cambierà tutto: “Got My Mojo Working”, eseguita in una versione talmente esplosiva da meritare un bis immediato.
Aneddoto di copertina: la foto di At Newport 1960 mostra Muddy con una semiacustica che non è quella usata nel concerto. La sua vera compagna era una Fender Telecaster, lasciata sul palco: per lo scatto, Muddy prende la chitarra dell’amico John Lee Hooker. Dettaglio minimo, ma perfetto per capire quanto quella scena fosse una vera famiglia allargata del blues.
📣 La scena parla – Riconoscimenti e influenza rock
Con il tempo, At Newport 1960 viene considerato uno dei primi grandi live album blues e un disco “scuola” per chiunque voglia capire come il blues elettrico abbia spinto il rock oltre il limite. Le recensioni parlano di band “tough, tight and in the groove”, di armonica devastante e di una presenza scenica che buca il vinile.
Nelle classifiche specializzate, At Newport 1960 entra spesso tra i dischi fondamentali del Novecento ed è stato inserito da Rolling Stone nella lista dei “500 Greatest Albums of All Time”. Per molti musicisti bianchi americani e britannici, questo è il disco da cui partire per imparare come si suona forte, sporco e con sentimento.
Assieme alle raccolte come The Best of Muddy Waters, l’album diventa una bibbia per la giovane scena blues-rock: da qui passano i primi passi dei Rolling Stones, dei gruppi del British blues boom e, a cascata, di tutto l’hard rock anni ’70.

🌍 I fan & l’impatto – Il giorno in cui il blues impara a essere rock
I racconti dell’epoca parlano di un pubblico che, durante “Got My Mojo Working”, non riesce più a stare seduto: gente che balla nei corridoi, mani alzate, richieste di bis. Muddy è così carico che il pezzo viene ripetuto una seconda volta, ancora più feroce, con lui che si muove sul palco e la band che lo segue come un treno lanciato.
A chiudere la serata arriva una chicca: il poeta Langston Hughes, presente al festival, scrive al volo il testo di “Goodbye Newport Blues”, un saluto alla città e al pubblico. A cantarla è il pianista Otis Spann, perché Muddy è sfinito dopo il set. È il sigillo letterario su un concerto che entrerà nella leggenda.
Per i fan del rock, questo disco suona come il momento in cui il blues elettrico non è più solo “radice” ma diventa già rock da palco: volumi alti, interplay, assoli che sembrano anticipare gli anni ’70. Non è un caso se tanti gruppi rock hanno indicato At Newport 1960 come ascolto obbligatorio nella loro formazione.
🎧 Brano suggerito – “Got My Mojo Working” (Muddy Waters, Live at Newport 1960)
In meno di cinque minuti c’è tutto: groove serrato, batteria che spinge, armonica di James Cotton che urla, call and response con il pubblico e la voce di Muddy che ringhia con sicurezza assoluta. La versione di Newport è diventata lo standard del brano, quella citata nei libri di storia della musica e nelle classifiche dei pezzi fondamentali del blues.
È una di quelle tracce che puoi ascoltare oggi, in cuffia, e sentire ancora il sapore del fango del Mississippi e il rumore delle casse di un festival all’aperto. Il ponte perfetto tra blues elettrico e rock da arena.
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